Black Mirror è davvero qualcosa di speciale?
Non guardo molte serie Tv , ecco perché ne conosco poche. Generalmente, o qualcosa di seriale mi attira spontaneamente e sin dal primo episodio rispecchia le mie aspettative, o tendo ad evitare qualsiasi contatto nel caso qualcosa proprio non mi ispira o non riesce a essere appetibile sin dai primi minuti (ovvero il 99% dei casi).
Esiste però una remota possibilità per cui io venga convinto da qualcuno a guardare una Serie Tv. E’ un evento molto raro, ma è accaduto e riaccaduto giusto qualche giorno fa. Incalzato da Valecant, che oltre a giocare miliardi di videogames passa innumerevoli ore davanti a Netflix a guardarsi l’intero repertorio mondiale di opere seriali, sono stato convinto a suon di schiaffoni morali e rimandi a vecchie scommesse a guardare almeno un episodio di Black Mirror, una serie Tv che secondo Valecant “Mi avrebbe distrutto la mente facendomi gioire di aver visto qualcosa di estremamente intelligente”.
E Cavolo: aveva ragione.
UNO SCHERMO NERO PER INIZIARE
Ho guardato diversi episodi della serie e posso sin da subito confermare la grande bontà della produzione. Ogni episodio è però a sè stante e racconta vicende che nulla c’entra con gli altri piccoli film della serie, se non per pertinenza filosofica. Black Mirror è attualmente composto da tre stagioni, rispettivamente da tre episodi per le prime due e per ben sei episodi per la terza e attesa stagione pubblicata nei giorni scorsi della durata di un’ora circa ognuno.
Ogni lungometraggio ritrae situazioni diverse le quali vanno a confluire in una unica e potente idea: la tecnologia fa male. Charlie Brooker, autore e produttore della serie, esprime il suo totale dissenso nei confronti delle trovate tecnologiche moderne in ogni fotogramma che compone l’intero operato, andando ad analizzare diversi scenari futuri tutti rigorosamente pessimistici. La negativa visione di Brooker non è però scaturita dal caso. Ogni situazione prende in esame un futuro ipotetico, che tuttavia si basa su una delle grandi variabili tecnologiche moderne. In poche parole per ogni episodio Brooker si pone la domanda: “Che cosa succederebbe se tale tecnologia diventasse la tecnologia fondamentale per l’umanità?”

Tutto ha significato in Black Mirror, anche il titolo letteralmente “Specchio Nero” ha un suo scopo. Secondo quanto illustrato dall’autore, tale figura retorica si riferisce al colore che possiede uno schermo spento, che sia quello di una televisione, di un monitor per Pc o di uno smartphone. Certo l’analogia è parecchio forte e in qualche modo l’idea di un televisore spento mi spaventa e mi affascina. La televisione incarna l’ideale di tecnologia invasiva e capace di influenzare le vite di tutti noi quotidianamente, quasi come un componente della famiglia e osservarla come “spenta”, “disattivata” rafforza ancor di più il concetto per cui la tecnologia si dimostra sempre più essere una disfunzione, piuttosto che un miglioramento della vita stessa.
PESSIMISMO ALLA 1X02
Nella scelta del primo episodio da guardare, Valecant mi suggerì di iniziare la serie dal secondo episodio della prima stagione o guardando lo speciale di natale che fa un po’ da apri-porta all’intera produzione. Secondo lui sono i due episodi capaci di legare immediatamente lo spettatore alla filosofia dell’opera seriale. Decisi di iniziare dal secondo episodio della prima stagione, osservando il consiglio di Valecant di lasciare il primo episodio per ultimo. La scelta è stata azzeccata: tale puntata incarna alla perfezione quello che è lo spirito di Black Mirror e grazie a questa me ne sono perdutamente innamorato.
In parole brevi questo episodio racconta la vita di questi uomini e donne chiusi in claustofobiche stanze, con l’unico obiettivo di pedalare su delle Cyclette per l’intero arco della giornata per guadagnare dei crediti. Questi esseri umani non fanno altro che nascere, pedalare, crescere e morire. Già in partenza è tutto molto strano, ma a rendere le cose più surreali è sicuramente il fatto che questi uomini vivono in sostanza in un mondo virtuale. Di fatti lo scopo di accumulare crediti è pressapoco fine a sè stesso. La vita di questi esseri è infatti scandagliata dalla virtualità del loro alter ego. Oltre ad acquistare la razione di cibo giornaliera, i crediti possono essere utilizzati per poche altre cose: per acquistare vestiti virtuali, acquistare programmi Tv da guardare anche durante le sessioni di pedalata, acquistare i bisogni di prima necessità (come l’acqua per i sanitari così come le porzioni di dentifricio) e saltare la pubblicità.
Per questa comunità di uomini è infatti obbligatorio guardare la televisione soprattutto nella loro stanza da letto con grandi schermi Tv che compongono le mura delle piccole stanze ove tra le altre cose è obbligatorio recarsi successivamente alla giornata di “lavoro”, pena punizioni uditive o pecuniarie.
Esiste però un modo per sfuggire a tutto questo: vincere Hot Shot, unico talent show presente nei otto programmi televisivi disponibili cui vincitori diventano automaticamente ricchi e famosi, con la grande possibilità di vedere il mondo reale. Una opportunità dal costo di 12 milioni di crediti, circa sei mesi di lavoro ininterrotto.
Il problema? Tutti vogliono partecipare al Talent Show e diventare famosi, ma quasi nessuno ci riesce. Il motivo? Per scoprirlo, basta guardare l’episodio.

UN FINALE SEMPRE INCREDIBILE
Valecant mi aveva avvisato del fatto che ogni puntata possiede un finale assolutamente impossibile da prevedere se non nei suoi precedenti istanti. Vi potrei però raccontare in finale di ogni puntata con la certezza di non rovinare nulla. Di fatti, non è il colpo di scena finale a creare quella sensazione di abbandono che spesso travolge durante la visione, bensì il modo in cui si arriva a quel finale. La sequenza dei piccoli colpi di scena è così unica che ogni episodio risulta essere davvero imprevedibile tant’è che solo ai titoli di coda potremo avere una vera visione d’insieme di quanto visto e iniziare a riflettere sulle tematiche trattate. Pertanto, conoscere o meno in anteprima dei colpi di scena non ha significato.
La riflessione non è mai nel durante, bensì nel postumo. L’abilità nel ritardare la comprensione di quanto visualizzato non è cosa facile, soprattutto perché se qualcosa non si comprende solitamente la si scarta. Nel caso di Black Mirror però, non vi è totale incomprensione. Siamo infatti portati a riempire i buchi di deficienza con il nostro sapere, rendendoci successivamente conto di essere molto più vicino alle estreme situazioni raccontate di quanto pensiamo, ribadendo il concetto per cui Black Mirror non è una ipotesi del futuro fondata su strane idee, bensì l’analisi della casuale estremizzazione di qualcosa che già esiste ai nostri giorni.
E funziona così bene da letteralmente stravolgere il nostro rapporto con la tecnologia. Da rabbrividire.
IN THE CONCLUSION
Black Mirror mi ha sorpreso e se lo dice qualcuno che si dimostra refrattario nei confronti delle Serie Tv, vuol dire che c’è davvero qualcosa di buono nell’ora di Charlie Brooker. Ogni episodio è intelligente, intenso, emotivo e soprattutto riflessivo. Ogni storia va goduta per intero e prolungata all’infinito coi propri pensieri e le proprie considerazioni, in una analisi critica e continua di quello che è il presente che viviamo quotidianamente nell’ottica di prevenire un futuro che si preannuncia disastroso. Consiglio la visione di Black Mirror nella sua interezza, magari partendo proprio dal secondo episodio della prima stagione come fatto da me. Aspettatevi pertanto contenuti maturi per un pubblico 18+ e soprattutto tanto, tanto pessimismo tipico delle grandi opere fantascientifiche. Prendete inoltre in considerazione il fatto che l’apprezzamento degli episodi è direttamente proporzionale al proprio senso critico.
Imperdibile.
