Figure 8 recensione: l’indie che non voleva morire

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Nel momento in qui ho ricevuto una mail direttamente da Indiexpo con in allegato un eseguibile di nome “Figure 8”, sinceramente non sapevo cosa aspettarmi. Indiexpo, si sà, è un luogo meraviglioso ove migliaia di creativi espongono le loro opere videoludiche come trofei in una teca di prezioso cristallo. Le cose si sono però fatte ancor più interessanti nel momento in cui ho appreso che il titolo allegato alla mail è stato sviluppato da Mario Marquardt, talentuoso sviluppatore che ha fatto parte degli spinoff in 2D dedicati ad Assassin’s Creed: gli Assassin’s Creed: Chronicles.

Con una premessa di questo tipo non potevo lasciarmi sfuggire l’opportunità di dargli un assaggio, anche perché la pagina di Indiexpo dedicata a Figure 8 sottolinea che il progetto è stato completato. Oltre a questo non vi sono molte informazioni aggiuntive, se non una breve sinossi del gioco:

Figure 8 è una corta storia interattiva in prima persona che parla di uno scrittore intento a scrivere una storia riflettendo sulla vita e sulla morte. “

Il testo cita che il piccolo titolo è in realtà iniziato come un compitino di modellazione 3D, un semplice test di pratica che a quanto pare è diventato qualcosa di più.

Ma quanto di più?

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Figure 8 è nato come semplice esercizio di modellazione. Alla faccia!

 

IL PIACERE DELL’UNDERGROUND INDIE

 

Figure 8 è un gioco che è stato sviluppato con l’UDK dell’Unreal Engine 3. A tal proposito è un gioco gratuito, il che è un bene data la longevità proposta. In circa undici minuti si può completare la breve storia interattiva, la quale però riserva interessanti sorprese. Innanzitutto, dato che il progetto è nato come pratica di modellazione, è importante sottolineare che Mario Marquardt ha svolto un ottimo lavoro. L’unreal Engine 3 è stato ben utilizzato per creare delle mappe ben dettagliate e modellate, con una gestione minimale e basilare delle luci in-game. Il personaggio controllato non sembra avere un modello di riferimento, ma non mi aspettavo altro: creare un essere umano convincente è davvero molto difficile se le risorse a disposizione sono nulle.

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La gestione delle luci è minimale, ma svolge bene il suo lavoro

Il semplice level design sottolinea la provenienza dello sviluppatore. Senza alcun indicatore, è possibile comprendere la strada da percorrere senza troppe difficoltà, il che denota una buona comunicazione tra quello che si vede a schermo e il cervello del giocatore. Stilisticamente parlando invece non ci si ritrova davanti a una ricercatezza che fa gridare al miracolo. Le tre aree di gioco proposte, rispettivamente un castello in un infinito deserto, una caverna grande e umida e quello che sembra essere il sotterraneo di un bunker, sono punteggiati dalla presenza di televisori a tubo catodico senza segnale video. Niente di eccezionale, ma sono sicuro che la loro presenza non è del tutto casuale.

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I televisori sono sparsi un po’ ovunque. Ma cosa vogliono sottolineare?

SCRIVO UNA STORIA CHE PARLA DI UNA STORIA

Sinceramente Figure 8 mi ha ricordato moltissimo “The Beginner’s guide”, capolavoro assoluto di Davey Wreden che a fine 2015 mi impressionò per lungimiranza e capacità interpretativa. Le analogie con i titoli di Wreden sono in realtà molte e vanno a sfondare anche nell’amato “The Stanley Parable”. In poche parole il titolo ci propone l’ascolto di un narratore che dice di essere uno scrittore di una storia che sembra non voler prendere il volo. Lo scrittore afferma di star scrivendo e riscrivendo lo stesso paragrafo in quanto non riesce in alcun modo a proseguire con il suo scritto. A quanto pare il giocatore è il citato personaggio dello scrittore, che con sua volontà vaga nel mondo creato con la penna.

Le cose si complicano nel momento in cui il romanziere afferma di voler uccidere la propria creazione, non riuscendoci a causa della ribellione del suo stesso personaggio che di morire proprio non ci pensa. Dopo aver aperto un portone con un rudimentale meccanismo ed essere entrati in una sorta di bunker definito dallo scrittore come “buio e triste”, veniamo incalzati dalle fatidiche domande fondamentali dell’umanità: “Dove stiamo andando? Perché siamo qui? Chi sono io?”. Tuttavia, una volta arrivati vicino a un portone pieno zeppo di televisioni abbandonate, lo scrittore inizia ad affermare di aver sentito il personaggio iniziare a parlare dicendogli nientemeno che le risposte alle domande prima elencate. Peccato che, proprio sul più bello, il gioco si concluda e soprattutto..ricomincia!

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Il bunker “Buio e Triste” sfonda quasi nel metafisico per la sua decontestualizzazione con lo scenario originale di gioco

 

NON FACCIO BENE A FILOSOFARE

Non so se sarebbe corretto filosofare su questi undici minuti di gameplay, tuttavia il piccolo gioco di Mario Marquardt mi ha colpito. Certamente non siamo ai livelli di sconvolgimento di Wreden, ma è stato particolare osservare come questi undici minuti siano stati in qualche modo densi di spunti di riflessione.

Se è vero che il gioco si propone come una sorta di interpretazione del rapporto vita/morte, è logico pensare che lo sviluppatore del titolo creda in qualche forma di reincarnazione dando un senso circolare alla vita. Secondo quello che ho potuto capire, interpretando lo scrittore come una sorta di divinità annoiata, la fine del gioco culmina con la risposta definitiva alle domande dell’umanità, le quali, secondo il creatore del gioco, potranno avere risposta solo dopo aver affrontato la morte, la quale coincide con un nuovo inizio, quindi con una nuova nascita.

Tuttavia questa è la mia breve e singolare interpretazione: credo che ognuno di noi potrebbe dare un significato diverso rispetto a quanto si può vedere in Figure 8. Inoltre non ho dato una interpretazione alle televisioni sparse per il gioco. Cosa possono significare? Forse indicano l’aspetto “passeggero” della nostra vita, che vede noi stessi come spettatori di eventi che vanno a modificare il corso della storia e poco più, con l’illusione di aver davvero la propria situazione sotto controllo senza sapere di essere in realtà in balia degli eventi.

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In questa immagine si intravede uno scheletro: come ci è finito lì?

 

 

DUE RIGHE E POCO PIU’

La creazione dell’ex baguette di Ubisoft (così chiamo i dipendenti dela grande software house parigina), mi ha portato a un livello di riflessione ancor più elevato. Da anni sostengo come i videogiochi possano raccontare storie incredibili soprattutto mediante il genere delle avventure grafiche esplorative. A quanto pare però, per raccontare qualcosa di profondo non serve nemmeno un livello grafico da capogiro e nemmeno espedienti narrativi troppo complessi. A tal proposito, mi piace pensare che in futuro i videogiochi possano essere utilizzati con facilità da tutti gli esseri umani del pianeta e diventare mezzo soprattutto di espressione personale e non solo culturale.

Noi oggi tutti quanti possiamo andare in cartoleria e acquistare tele e pennelli per cimentarci nell’arte pittorica ed esternare i nostri sentimenti come meglio vogliamo. In un futuro nemmeno troppo lontano sarà molto più probabile avere un computer in mano e un dev-kit facilitato per la creazione di piccole opere personali e intime che andranno a tessere un nuovo universo culturale e forse un nuovo di intendere i videogiochi. Tra le altre cose questo concetto è già stato ripreso da Wreden nel già citato “The Beginner’s Guide

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Il deserto proposto nelle primissime fasi iniziali di gioco sembra essere infinito. A voi la scelta di esplorarlo tutto

IN THE CONCLUSION

Figure 8 non è un vero e proprio videogioco o meglio: non era stato creato con l’intento di intrattenere. E’ semplicissimo in tutti i suoi aspetti, ma riesce a mettere in crisi la filosofia del giocatore con pochi piccoli dettagli, dalle televisioni sino allo strano racconto del narratore/scrittore. Come progetto di test autodidattico dire che il lavoro svolto è più che buono, ma i piccoli spunti di riflessione potrebbero colpire i giocatori più sensibili e attenti.

Consigliato soprattutto a coloro a cui piace filosofare sulla propria vita.

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Marco Masotina

Marco Masotina

Tosto come un Krogan, gli piace essere graffiante e provocante per scoprire cosa il lettore pensa dei suoi strani pensieri da filosofo videoludico. Adora i lupi, gli eventi atmosferici estremi, il romanticismo e Napoleone.