Alla Gamescom 2017 la grande anteprima Sony aveva il nome di Detroit Become Human. Il nuovo e iperatteso capolavoro annunciato di David Cage e Company si è mostrato alla Gamescom con tanto di stand dedicato dalla coreografia artisticamente esaustiva. E tra schermi olografici e droni polizia dotati di mitragliatrice, ho tastato anche io in prima persona la nuova avventura del Sogno Quantico più famoso al mondo e lo dico subito: le parole “capolavoro annunciato” sono di dovere.

Innanzitutto è sempre giusto affermare che Detroit Become Human fu in realtà preannunciato un bel po’ di tempo addietro mediante una tech demo chiamata “Kara”. In questa tech demo, che secondo il suo creatore girava comodamente su di una Playstation 3, un robot dalle sembianze femminili mostrava dei malfunzionamenti nella sua sfera emotiva manifestando emozioni umane che, per qualche ragione, convinsero il tecnico di turno a non disassemblare l’androide mettendolo quindi regolarmente in commercio. Ebbene: Detroit Become Human non differisce dalla sorprendente tech demo (se non avete mai visto il video, andate subito a vederlo su Youtube perché merita tantissimo). Nella demo che ho potuto provare nel corso della Gamescom 2017 ho personificato un androide dalle sembianze maschili chiamato a indagare su di una strana scena del crimine. Inizialmente molto statico e robotico, il ferroso protagonista si dimostra essere un ottimo detective grazie alle sue capacità computazionali avanzate che gli permettono di analizzare qualsiasi indizio sparso per l’abitazione. E dopo aver ricostruito la morte di alcuni malcapitati e dopo aver compreso che nella moderna casa vi è stata una colluttazione poi finita a piombo in faccia, si può decidere di continuare l’analisi ambientale o, in alternativa, cercare di risolvere immediatamente il caso.

Come tradizione Quantic Dream, le possibilità di gioco sono davvero infinite e tutte completamente dettate dal giocatore. Ovviamente si parla di una avventura grafica moderna, ma non esplorativa. Sta di fatto che Quantic Dream ci ha abituato con storie incredibili e completamente personalizzate dalle scelte del giocatore e Detroit Become Human non sembra esser da meno. Tuttavia questa nuova opera sembra diversa: più fluida, più naturale più..umana. Sinceramente parlando sembra che Quantic Dream abbia preso in prestito qualche idea di gameplay da Supermassive Games, quelli di Until Dawn. Ed è paradossale perché il giovane team di sviluppo, parlo di Supermassive, ha avuto come mentore proprio Quantic Dream con il merito però di aver reso ancor più naturale e fluido il modello di gioco di David Cage. Ebbene: questa eredità condivisa dai due studios ha permesso a Detroit Become Human di essere l’avventura grafica in esclusiva per Playstation più sorprendente di sempre. Certo, lo so: sto giudicando il titolo da una semplice demo, ma quello che ho visto è stato abbastanza per capire di che pasta è fatto il gioco. L’interattività è ovviamente eccellente e nella versione da me giocata ho potuto interagire con una miriade di oggetti a schermo i quali, poco a poco, mi hanno aiutato a risolvere, almeno in parte, il caso.

E nel cercare indizi rilevanti o semplicemente informazioni sulla modalità di costruzione dell’abitazione così come utili info sugli agenti di polizia umani di supporto, nella demo ho deciso di tentare di risolvere il caso con il 64% di informazioni utili in mio possesso, o tale era la percentuale stimata dal personaggio androide. Certo: il fatto di non aver trovato una grande quantità di indizi utili mi ha messo in grande difficoltà nella sezione di gioco successiva che prevedeva il salvataggio di due persone in procinto di buttarsi giù dal palazzo, evidentemente molto alto. E se fino a questo momento Detroit Become Human mi era sembrato un “semplice” prodotto in puro stile Quantic Dream, nel momento in cui sono salito sul tetto per tentare di salvare le due persone in pericolo ho compreso il motivo per cui questo gioco mi attira tantissimo e tale motivo fa rima con “emozioni”. Scoprire che una delle due persone è in realtà un androide che, ribellatosi ai suoi padroni ha deciso di punire la sua famiglia perché incapace di comprendere le sue emozioni mi ha fatto sinceramente sobbalzare, anche perché la scena è così ben girata che difficilmente si può rimanere indifferenti.

L’esito dell’indagine dipenderà solo e soltanto dalle scelte del giocatore. Nel mio caso non è andata poi così male, ma sinceramente il dialogo avuto tra l’androide da me comandato e l’androide criminale è stato così intenso e così persuasivo da farmi scendere una lacrima sul viso. Nonostante la relativa breve durata della demo, dentro di me ho potuto provare una tempesta di emozioni tanto intensa quanto coinvolgente da farmi istantaneamente capire la potenza espressiva di un’opera moderna come Detroit Become Human. Perché alla fine di espressione e di arte stiamo parlando. Tutto è simbolico, tutto ha un significato. Per esempio ho notato che il personaggio androide, quello comandato dal giocatore, man mano scopre dettagli sulla scena del crimine comprendendo quindi quello che gli sta accadendo attorno, diventa come dire..più umano. Da rigida ferraglia diventa sempre più fluido nei movimenti, sempre più empatico rispetto a quello che osserva intorno e soprattutto sempre più intenso nel manifestare emozioni. Già: emozioni. Le emozioni saranno sicuramente al centro dell’attenzione in Detroit Become Human, non solo come tematica principale di gioco, ma anche e soprattutto come feeling di gameplay.
Insomma: quello che ho visto nel corso della demo mi ha convinto appieno, soprattutto emotivamente parlando. Attualmente non si conosce ancora una data d’uscita ufficiale, ma a questo punto spero che Detroit Become Human esca al più presto: voglio assolutamente sapere come la vicenda narrata nella demo andrà a finire.
Brividi.