Quella strana voglia di essere un po’ più italiani

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Milan Gamesweek 2017

è ormai acqua passata.  La più grande gamesweek di sempre (fino ad ora), è stata un gran successone: quasi 148’000 sono state le presenze (10’000 in più rispetto l’anno precedente), che hanno deciso di dedicare un po’ del loro tempo alla fiera a tema videoludico più importante d’Italia.

Se avete letto il nostro resoconto di questa incredibile edizione, saprete di certo che noi di Projectnerd.it abbiamo gradito molto la Milan Gamesweek di quest’anno, gradendo soprattutto gli spazi più ampi e ragionati e soprattutto la forte dedizione verso gli studios italiani e la bellissima arena e-Sport. E proprio riguardo a questa forte attenzione al nostro Bel Paese voglio rivolgere la mia riflessione che, come sempre, spero possiate gradire nella speranza che possa essere stimolante per tutti voi gentili lettori.

UN PAESE CHE VUOLE FARCELA

Questa Gamesweek sarà per sempre da me ricordata per essere stata la prima mia Milan Gamesweek vissuta in qualità di standista. Projectnerd.it è riuscita infatti a ottenere uno spazio all’interno della fiera che ha sfruttato intervistando più studios italiani possibili e non posso che esserne fiero di questo grande risultato. Ma quello che non puoi notare nelle vesti di un simpatico visitatore, lo puoi invece vedere se indossi le vesti di uno standista. Osservare la fiera mentre viene costruita, conoscere di persona i responsabili delle grandi aziende o anche solo discutere in fase di preparazione di quelli che sono i programmi dell’evento è sicuramente qualcosa di incredibile agli occhi di chi, nel mondo videoludico, ci crede ancora fermamente. Guardare Gamesweek mentre veniva assemblata è stato per me un evento molto simbolico: davanti a me osservavo letteralmente l’industria videoludica italiana crescere, espandersi, concretizzarsi davanti ai miei occhi sotto forma di giganteschi e dirompenti stand che, da qualche ora a quella parte, avrebbero accolto centinaia di migliaia di visitatori. Esser lì, nel background della fiera è stato per me importante, perché ha dato modo a me stesso di capire una volta per tutte che il settore videoludico, in Italia, esiste davvero ed è più forte che mai.

arena gamesweek-copertina indie italiani
L’Italia è un paese che ce la vuole fare

Ma se da una parte il risultato finale di quella fase costruttiva si è poi rivelata una mezza delusione (nell’articolo di recap ho parlato di grandi aziende che “ci hanno creduto a metà”), ciò che più mi ha sorpreso è stata, come prevedibile, la grande forza dell’Italia: quella più indipendente, quella più simpatica e quella più sgangherata. E se è vero che gli stand più grandi e pirotecnici sono stati costruiti e progettati da aziende che non sono nate in Italia, è pur vero che l’intera sezione Indie, squisitamente gestita da AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani), ha brillato per simpatia e semplicità. Perché alla fine è vero: fa parte del nostro spirito di italiani mostrarci come semplici e forse sgangherati, ma forse è proprio per questo che tutto il mondo ne rimane affascinato quando, dalla nostra apparente semplicità dovuta in qualche modo all’assenza di grandi risorse, tiriamo fuori prodotti dalla bellezza inimitabile.

indie shop indie italiano a gogo

VIENI CHE TI SGANGHERO IO

Ma perché parlo di sgangheratezza? Innanzitutto voglio chiarire il fatto che per “sgangherato” non per forza indico qualcosa di negativo. Semplicemente mi ha fatto sorridere come gli sviluppatori indipendenti si comportassero come se fossero sfollati sopravvissuti a un evento catastrofico. Forse è proprio così: lo scenario indipendente italiano è effettivamente sopravvissuto a quell’evento catastrofico chiamato “assenza di cultura informatica che tanto attanaglia il nostro paese, ecco perché solitamente, ai vari festival indie che si rispettino, sembrano tutti comportarsi come una grande famiglia che non ha alcun altra volontà che passare un pomeriggio assieme a persone simpatiche e di cuore. Alla fine è questa la grande forza del movimento indipendente italiano: sentirsi parte di un grande movimento culturale è sempre qualcosa che ti da orgoglio e che ti rassicura, nonostante la fuori le cose non vadano effettivamente per il meglio. Lo hanno confermato gli sviluppatori stessi. Alla domanda “ti senti parte di questo grande movimento culturale italiano che sta interessando l’industria videoludica in Italia?”, i quindici team di sviluppo che abbiamo intervistato (le interviste le trovate tutte su Projectnerd.it), ci hanno riferito le medesime parole: “Ci sentiamo fortemente parte di questa esplosione di creatività tutta italiana, ma sembra che questo territorio ancora non se ne stia accorgendo”.

riot civil unrest copertina bella indie italiani
Riot: Civil Unrest ha fatto letteralmente il giro del mondo

Gli sviluppatori si riferivano sia alla politica italiana, che sembra trattare con sufficienza l’intero settore che in realtà vale miliardi di euro (anche se AESVI in tal senso sta svolgendo un ottimo lavoro in Parlamento), sia a un pubblico che sembra ancora poco interessato all’acquisto di videogiochi italiani che allo sviluppo degli stessi. Il fatto che alcuni studios abbiano dovuto trovare fondi provenienti da stati esteri fa comprendere come l’Italia ci creda ancora poco in questo settore, il che è paradossale. Voglio dire: società da migliaia di miliardi di fatturato l’anno investono milioni per adattare il loro software al mercato italiano, nonostante gli italiani sembrano essere completamente disinteressati dal mercato interno. Un paradosso? Forse, ma teoricamente dovrebbe risolversi nel tempo (o così spero).

milanoir screenshot di indie italiani
Alcuni sviluppatori hanno trovato finanziatori soltanto oltralpe

 

QUELLA STRANA VOGLIA DI ESSERE UN PO’ PIÙ’ ITALIANI

Ma perché gli italiani non credono negli italiani? Bella domanda. Effettivamente la sua risposta comprende in realtà qualsiasi settore produttivo del nostro paese. Insomma: le auto italiane sono quelle fatte peggio, le tecnologia italiana è quella più inutile, le scarpe italiane sono quelle dal rapporto qualità/prezzo più scadente, i nostri mobili sono sterco e i nostri videogiochi non all’altezza del resto del mondo. Sapete però una cosa? Questi giudizi ce li diamo noi stessi. Perché in realtà il resto del mondo ci invidia quello che creiamo e flash news: tutti lo vogliono (o lo vogliono “morto”). Perché è così: l’italia ha sempre attirato l’invidia di tutti i popoli che non fanno parte del grande calderone italiano perché, voglio dire: com’ è possibile che “senza risorse”, “senza speranza” e “senza tecnologie” riusciamo a creare prodotti dalla qualità sorprendente? La risposta è soltanto una: la nostra cultura è splendida e ci educa a dare il massimo e ad amare quello che facciamo. Nel caso dei videogiochi aiuta molto anche il fatto che noi italiani siamo costantemente immersi nell’arte, una condizione che pochi altri popoli possono vantare. E allora perché non iniziare a supportare e a conoscere i progetti videoludici italiani? Perché non incominciamo a dichiarare distintamente che in Italia “prima arrivano i videogiochi nazionali e dopo quelli internazionali”? Abbiamo forse paura di brillare? Si: come detto da uno degli sviluppatori indipendenti più lungimiranti ai nostri microfoni, sembra l’Italia abbia effettivamente paura di “Brillare”, come se brillare di propria luce voglia dire esporsi ai colpi dei cecchini degli avversari o come se semplicemente Brillare fosse moralmente sbagliato.

All star fruit racing work in progress indie italiani
All Star Fruit Racing brilla, eccome se brilla!

Ecco: io non accetto queste condizioni. Nel corso della Milan Gamesweek 2017 ho visto grandiosi videogiochi italiani sviluppati con risorse striminzite. Ora: immaginate cosa potrebbero fare quelle persone se noi, invece che spendere 70 euro per il Call of Duty o il Fifa annuale, ne spendessimo venti o trenta per acquistare un gioco italiano. Sarebbe il paradiso, per loro e soprattutto per noi. Perché credere nelle possibilità del nostro paese non è soltanto moralmente giusto, ma anche dannatamente produttivo. Immaginate le grandi città italiane che a un certo punto diventano luogo di sede di grandissime aziende videoludiche italiane. Immaginate quindi la rivoluzione sociale, lavorativa ed economica che ne scaturirebbe: sarebbe fantastico, per tutti noi. E alla fine tale scenario non è nemmeno così difficile da raggiungere: basta aver voglia di essere un po’ più italiani del solito, giusto?

cage the land of pain indie italiani
Immaginate cosa potrebbero tirar fuori gli sviluppatori italiani se credessimo nel nostro mercato interno (screenshot preso da The Land of Pain, di Alessandro Guzzo)

IN THE CONCLUSION

La realtà dei fatti è che io sono rimasto fin troppo entusiasta di come gli sviluppatori indipendenti italiani si sono presentati nel corso della Milan Gamesweek 2017 ed è vero che vorrei che sempre più persone si accorgessero dell’oro che abbiamo nel nostro territorio. Certo vorrei che fosse un processo veloce e immediato, ma so che ci vorrà tempo prima che l’Italia si accorga di poter competere anche in questo strambo e bellissimo settore. Il videoludo in Italia sta cominciando a ingranare e a parer mio l’Italia offre uno degli scenari indipendenti più belli dell’intero globo. A tal proposito lo sottolineo: è arrivato il momento di crederci un po’ di più. Pertanto dico:

 

  • Se sei un giocatore, inizia ad acquistare e a giocare software italiano
  • Se sei un finanziatore, inizia a prendere in considerazione l’idea di investire in software house italiane (potrebbero fruttare molto in futuro)
  • Se sei uno programmatore, inizia a mettere giù qualche nuova idea
  • Se sei un giornalista o un blogger, inizia a parlare in modo più deciso delle produzioni italiane

 

Immaginate, gentili lettori, immaginate: il futuro dell’intera industria videoludica italiana dipende soltanto da noi.

 

Immaginate.

Marco Masotina

Tosto come un Krogan, gli piace essere graffiante e provocante per scoprire cosa il lettore pensa dei suoi strani pensieri da filosofo videoludico. Adora i lupi, gli eventi atmosferici estremi, il romanticismo e Napoleone.