La Foresta, miniserie francese di genere thriller-poliziesco, è stata prodotta da France 3 ed è distribuita in Italia da Netflix, in versione doppiata e in originale con sottotitoli, a partire dal 29 giugno. Brevissima, ideale per gli amanti del binge-watching, consta di soli 6 episodi: se decidete, potete anche vederveli tutti in un’unica maratona. Certo, di quelle un po’ impegnative, visto che ogni puntata dura circa 50’, ma è difficile non venire presi dal desiderio di sapere come va a finire – quantomeno fino al quinto episodio incluso.
La serie è ambientata in un piccolo villaggio ai confini della foresta delle Ardenne e la stessa foresta – come si intuisce facilmente dal titolo – gioca un ruolo fondamentale nello svolgersi della trama. Ciononostante poche scene sono state effettivamente girate nella regione delle Ardenne, la maggior parte delle riprese è avvenuta in Belgio o ai suoi confini, per scelta del regista Julius Berg. Questo perché, come la suggestiva sigla suggerisce, non si tratta propriamente o soltanto di una foresta fisica, collocata in un preciso luogo geografico, ma piuttosto di una metafora, di una foresta mentale talmente fitta da nascondere la verità agli occhi dei protagonisti, pur se l’hanno sempre avuta davanti.
Atmosfere suggestive tra Twin Peaks, Broadchurch e Les Revenants
Sarà la fotografia, sarà l’ambientazione in un paesino immerso nel verde, sarà la colonna sonora scelta, estremamente evocativa, ma in alcuni momenti La Foresta ricorda da vicino un’altra serie francese di successo degli ultimi tempi, Les Revenants. Quelle tipiche atmosfere al limite del sovrannaturale riecheggiano anche in uno dei personaggi principali, Eve Mendel (Alexia Barlier), la professoressa di francese, che fa sogni misteriosi e quasi premonitori e che segue nel bosco un lupo bianco – in una regione dove lupi non ce ne sono.
Quest’accenno di misticismo o di irrazionale che apporta la figura del lupo, insieme con l’ambiente claustrofobico del piccolo villaggio, in cui la gente “mormora” e osserva silenziosamente da dietro le finestre, e, soprattutto, la sparizione di un’adolescente, fa venire in mente subito anche il classico per eccellenza del genere, Twin Peaks, nonché il più recente Broadchurch, in particolare per l’atmosfera di mutuo sospetto che si diffonde in paese a causa delle indagini.
Tutte queste influenze, pur presenti guardando gli episodi de La Foresta, rimangono mere suggestioni, quasi una sorta di colore, di tono che prende la narrazione, senza andare necessariamente fino in fondo, senza mai calcare la mano sul piano esoterico o misticheggiante, come alcune delle altre serie citate hanno fatto.
Uno dei punti di forza della miniserie trasmessa da Netflix è proprio l’ancoraggio al reale, il descrivere uno scenario perfettamente attuale, che potrebbe prodursi in una qualsiasi cittadina in modalità piuttosto simili – quantomeno fino alla puntata finale.
La trama de La Foresta
Siamo nell’apparente placido villaggio di Montfaucon, circondato da uno dei grandi boschi della regione delle Ardenne. Appena arrivato il nuovo capo gendarme, Gaspard Decker (Samuel Labarthe), ex-militare con figlia adolescente al carico, si trova la classica bella gatta da pelare: una ragazza del paese sembra essere sparita nella notte. “Sembra” perché con i teenager non si sa mai, c’è sempre l’opzione “scappata-di-casa” nell’aria. Ma “sembra” anche perché la segnalazione della sua scomparsa non è stata fatta dalla famiglia, ma dalla professoressa di francese, nota per essere “quella strana”, con un passato oscuro alle spalle, con la tendenza a vedere lupi dove non ce ne sono, a fare sogni premonitori e ad aggirarsi in panni discinti nella foresta, con cui pare avere un legame non troppo spiegabile a livello razionale.
La gendarme del posto, Virginie Musso (una bravissima Suzanne Clément), è pronta a minimizzare il tutto e ad aggiungere le angosce della donna alla lunga lista delle sue stranezze. Cambia però registro quando a non tornare a casa, oltre a Jennifer – la prima scomparsa – è anche sua figlia Maya e l’altra loro amica, Océane. La situazione precipita ulteriormente quando il corpo senza vita di Jennifer viene ritrovato nella foresta (grazie sempre alla professoressa, che ha seguito il misterioso lupo bianco fino a dove era stato nascosto il cadavere). La ragazza, all’autopsia, risulta essere stata violentata prima di essere uccisa.
La caccia all’uomo e contro il tempo – per arrivare alle due altre ragazze prima che sia troppo tardi – scoperchia una sorprendentemente numerosa serie di segreti celati dietro le porte chiuse del piccolo villaggio, e vengono alla luce relazioni torbide, casi ai limiti della pedofilia, utilizzo improprio di internet, furti e reati minori vari ed eventuali. Un vero e proprio coacervo di microcriminalità, di sessualità equivoca e spesso malsana, di insospettati e insospettabili che si rivelano ben differenti dai tranquilli abitanti del piccolo centro che inizialmente parevano essere.
Davanti agli occhi sempre più sconcertati di Virginie, che da sempre vive nel paesino e conosce tutti dalla più tenera infanzia, si scopre un mondo di gente perduta, di piccole grandi verità occultate, di intrighi e di tabù di cui non si deve parlare. Emergono altre adolescenti sparite nel passato, storie dimenticate e in qualche modo interconnesse. Come dentro la foresta, talmente fitta che puoi perdere la via anche se la conosci da sempre, così gli abitanti del paese, che hanno forse smarrito la strada, nonostante si frequentino dalla nascita.
Il sospetto reciproco si diffonde, come un virus contagioso e inarrestabile, quando appare chiaro che c’è una forte possibilità che il “mostro” abiti tra loro. Emblematiche le parole del preside della scuola locale, che commenta scoraggiato “nessuno si fida più dell’altro: non è questo il nostro villaggio, non è così che siamo”.