Nel catalogo del colosso dello streaming Netflix, dal 1 febbraio 2019, si ricompone la coppia formata dal regista Dan Gilroy e dall’attore Jake Gyllenhaal, assieme nuovamente per Velvet Buzzsaw dopo il grandioso successo di Nightcrawler
A differenza della loro prima iterazione però, cambia il contesto e il genere in cui il regista decide di ambientare la sua storia, in Velvet Buzzsaw lo spettatore si ritroverà catapultato dietro le quinte del mondo dell’arte moderna, in una pellicola che si muove in equilibrio precario fra sottile satira al settore e orrore sovrannaturale.
Nello spietato mondo dell’arte contemporanea, l’agente emergente Josephina trova centinaia di dipinti appartenuti ad un anziano inquilino del suo palazzo, morto in totale solitudine. Ignorando le istruzioni lasciate dall’anziano artista, di distruggere i suoi lavori, Josephina inizia a far circolare i dipinti, destando subito all’attenzione di critici e collezionisti. Ma dietro questi lavori si cela qualcosa di sinistro che mette in pericolo qualsiasi persona ne entri in contatto.
Diventa però chiaro fin da subito come l’horror sia usato da Dan per creare interesse e dare tensione a un film che in realtà vuole lanciare un altro messaggio, parlandoci dell’eterno dualismo fra il vero valore dell’arte e quello effimero dato dal suo valore commerciale,nascosto in bella vista una critica sulla mercificazione dell’arte.
Nonostante Jake Gyllenhaal sia il personaggio con più spazio, Velvet Buzzsaw è un’opera corale, senza un protagonista reale e tangibile se non per l’appunto l’arte stessa, qui incanalata come una sorta di spirito vendicativo dalle opere “maledette ” dello sconosciuto autore, pronte a eliminare chiunque in qualche modo tenti di trarre profitto da loro. Non a caso gli unici due personaggi a uscire vincitori da questa situazione saranno gli artisti, che dalla visione dei potenti quadri ricchi di fascino ipnotico non trarranno altro beneficio se non quello di ritrovare il proprio equilibrio, abbandonando quello spietato mondo dove a regnare è il dio denaro per tornare alla purezza del proprio IO interiore.
Il primo abbracciando nuovamente il collettivo che lo ha lanciato, il secondo tornando a seguire l’unicità, come dimostra la scena dei titoli di coda, che lo vede tracciare segni su una spiaggia, destinati a sparire senza lasciare traccia.
Tolto il messaggio, rimane però solo una serie di morti più o meno violente, che portano Dan a ricalcare una struttura che non può che ricordare Final Destination. Una volta capito il vero significato delle morti dei galleristi, allo spettatore rimane solo la curiosità di vedere in quali altri modi verranno eliminati i prossimi sulla lista. Una selezione di scene che, per la loro originalità – con l’arte che si mescola alla morte in diverse modalità – porta sicuramente una ventata d’aria fresca alla trama.
Nonostante la pregevole cura per i dettagli estetici e le prestazioni buonissime di attori come Gyllenhaal, John Malkovich (Bird Box) o Toni Collette (Hereditary), con Velvet Buzzsaw Dan Gilroy non riesce a replicare quanto fatto con il suo film d’esordio, la commistione fra arte e orrore funziona, ma non alla perfezione risultando forse fin troppo sbilanciato sulla critica.
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