Jojo Rabbit: La Recensione Fresco delle sue 6 candidature ai prossimi premi Oscar, esce questo week-end nelle nostre sale l’ultimo lavoro di Taika Waititi, regista di Thor Ragnarok e What We do in the Shadows.

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Quando abbiamo sbirciato, tra le pagine del web, alla ricerca del vincitore del Festival di Toronto 2019, è saltato fuori un titolo molto curioso e in quel preciso momento ignoto agli addetti ai lavori. Jojo Rabbit del regista neozelandese Taika Waititi vince il People’s Choice Award, praticamente il corrispettivo del Leone d’Oro al Festival di Venezia. Si pensava che titoli presenti anche in laguna come: Storia di un matrimonio o il già osannato Joker, del favoloso Joaquin Phoenix, potessero fare il colpaccio oltre oceano. Ma questi si sono visti sorpassare da questa commedia nera sul nazismo, che ha incantato il pubblico canadese. Il contesto bizzarro, che vede un giovane ragazzino tifare come allo stadio per il partito nazionalsocialista, ha creato una forte curiosità verso la pellicola. Soprattutto quando si è saputo che il bambino tedesco è solito dialogare con un amico immaginario molto influente a quei tempi in Germania: il Führer in persona. Adolf Hitler interpretato in chiave comica dallo stesso regista. Possiamo tranquillamente affermare che Jojo Rabbit non è un capolavoro, ma neanche un film da poco.
Il film è scritto con intelligenza (dallo stesso Waititi) e propone allo stesso tempo un registro drammatico e comico. La scena della perquisizione da parte delle forze armate naziste a casa di Jojo né è un riuscito esempio. Qui si passa dall’ansia alla risata in un batter d’occhio e il tutto è perfettamente calibrato e credibile. E nella sua veste anti ricattatoria il film è una felice sorpresa.

Germania, 1944. Siamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale e il giovane Jojo Betzler (Roman Griffin Davis) ha solo una cosa in mente: far parte delle forze naziste. Odia gli ebrei anche se non ne ha mai visto uno. Entra così a far parte della gioventù hitleriana, dove gli viene affibbiato il soprannome di Rabbit. Fa amicizia con l’impacciato ma dolce Yorki (Archie Yates). Assieme seguono alla lettera gli insegnamenti del capitano Klenzendorf (Sam Rockwell). La madre Rose (Scarlett Johansson) asseconda il figlioletto nella sua folle innocenza. Lei è in apprensione per le sorti del marito in guerra in Italia, dopo aver già perso una figlia. La carica e la passione, che sono il segno distintivo di Jojo, sono fomentate non tanto dalla propaganda del regime, ma da Hitler in persona. Lui gli appare ovunque, anche nell’intimità della sua stanza. Un Führer strambo e quanto mai ridicolo. Jojo comincia a farsi qualche domanda sui propositi nazisti quando scopre che la madre nasconde in soffitto una ragazza ebrea. Pian pianino conosce Elsa (Thomasin McKenzie) e capisce che è una persona normalissima e non quell’abominio, che gli vuol far credere il suo bislacco amico immaginario. Molti dubbi sorgono nella mente di Jojo e i messaggi veicolati dal partito nazionalsocialista iniziano a perdere potere su di lui. Si innamora di Elsa e la trasformazione in lui avviene proprio grazie a questo sentimento d’amore.

Jojo Rabbit è sicuramente uno dei prodotti cinematografici più influenti del 2019. Dopo aver vinto Toronto si è portato a casa 2 nomination ai Golden Globe (miglior film commedia/musicale e miglior attore in un film commedia/musicale a Roman Griffin Davis). Tra le 6 nomination all’Oscar 2020 si segnala quella alla sceneggiatura non originale (il film è liberamente ispirato al romanzo Caging Skies del 2004 di Christine Leunens), alla miglior attrice non protagonista (Scarlett Johansson), agli iconici e colorati costumi di Mayes C. Rubeo (già costumista del blockbuster per eccellenza Avatar) e infine proprio alla pellicola: Miglior film dell’anno. Il Festival del cinema di Torino 2019 ci aveva visto lungo affidandogli l’apertura nello scorso mese di Novembre.

La regia di Waititi è fresca e mai stucchevole, parte alla grande per poi calare un po’ nella seconda parte quando l’ironia lascia spazio alla più semplice delle drammaticità, infilandosi completamente nelle dinamiche del genere. C’è anche qualche simbolismo e furbizia di troppo. In sostanza non mantiene tutto quello che promette. Fin quando rimane sul satirico anti diavolerie, mettendo alla berlina tutti i modi e costumi nazisti, il film è travolgente. Viene messa in vetrina la grandezza del nazismo, ma facendosene beffe. Così il male più assurdo viene esorcizzato.
Nella pellicola il regista neozelandese ci infila anche delle atmosfere horror. La sequenza della scoperta di Elsa nascosta dalla madre di Jojo né è un esempio.
Evocativo per Waititi in quanto figlio di madre ebrea. Sicuramente ha voluto rivedersi bambino e farsi beffe di quel male insopportabile, che ha senza dubbio influenzato la sua giovane esistenza.
Il film ha un andamento lineare, raccontato nella realtà e in un mondo parallelo immaginifico dove Hitler è il diavoletto sulla spalla di Jojo. Buon verticalismo dei personaggi, mai lasciati al caso. La forza di Jojo Rabbit è che può essere etichettato come un film per tutti. Dai più piccoli ai più grandi. Romanzo di formazione in chiave comico/dark, con le tappe obbligate del: sentirsi accettato e fare parte di un gruppo, innamoramento, scoperta della realtà e della morte e la caduta di miti fittizi e malvagi. Assolutamente educativo.

Nella storia del cinema troviamo molti stimati autori che hanno irriso il nazismo. Tanto per citarne alcuni, dai quali sicuramente Waititi ne avrà tratto giovamento: Charlie Chaplin, Quentin Tarantino e il nostro Roberto Benigni con la sua Vita è bella. E’ tutto molto disordinato in Jojo Rabbit, nel senso che al regista è piaciuto mettere scompiglio nel rigido e troppo serio mondo nazista. Così facendo l’ha distrutto e ha saputo divertire il pubblico con questo suo nuovo lungometraggio derivativo.