Game of Thrones 7×03: la Recensione

1365 0

La 7×03 è quanto di più pericoloso possa esistere per un’opera narrativa quale Game of Thrones è. Non resta che capirlo, e sperare in meglio.

Siete in vacanza,  in spiaggia, rilassati e tranquilli. Improvvisamente un messaggio; Vodafone. Ignorabile, come sempre. Se non fosse che, maledetti voi e la vostra memoria, non solo avete scordato che domenica dovevate aggiornare la promozione, ma persino che, e qui il vero disastro, proprio quello stesso giorno usciva la nuova del Trono di Spade. Panico.

E dunque che fare?

4k, fibra ottica ed occhialini 3d, forse.
4k, fibra ottica ed occhialini 3d, forse.

Certo, se foste persone normali basterebbe tornare a chiudere gli occhi e mettersi tranquilli, ma, posto che normali non siete né voi né i tempi correnti, non resta che rimediare. E così inizia la corsa, con la sabbia che scotta sotto i piedi nudi, perché ovviamente al sole delle vostre dimenticanze interessa proprio poco, sino a giungere ad una qualunque, sporca e vecchia, tv; collegate il vostro sky On demand (state al gioco), cercate le cuffie ed infine vi sedete, 7×03; Queen’s Justice. “Shall we Begin?”

Un’ora dopo finisce e, nonostante l’ansia con cui avete atteso questa nuovissima stagione, non potete che ammetterlo: Qualcosa non funziona, e spaventa.

"Dov'è il mio capolavoro?"
“Dov’è il mio capolavoro?”

Dopo una prima puntata rasente la perfezione, ed una seconda probabilmente già scordata, il trono continua a narrare una Westeros di simpatici e rancorosi chiacchieroni impegnati a ripeterci i propri, già noti, pensieri. Le parole si schiacciano tra loro in una regia scialba, ben lontana dalla maestria mostrata nelle ultime ore della sesta stagione, che ci accompagna nei lenti e mal recitati dialoghi tra Daenerys e Jon, la cui visione in lingua originale potrebbe rivelarsi utile al fine di comprendere il significato di “ingessatura”. L’epica ed attesa conversazione appare infatti statica e mortalmente dispendiosa per una puntata i cui ritmi rappresentano il maggior punto debole.

Museo delle cere in apertura a Westeros
Museo delle cere in apertura a Westeros

Certo, facile sarebbe tradurre una fermezza recitativa dal punto di vista ideologico, posta la distanza abissale tra i piani del Bastardo re del Nord e della nana madre di draghi, ma non altrettanti voli pindarici d’interpretazione parrebbero applicabili per quanto concerne il piano tecnico, registicamente anonimo, che avvolge l’intera ora di narrazione.

“I was born to rule the seven kingdoms” starnacchia la patinata gattara (“dragara” suonava male) mentre attorno a lei tutto sembra sprofondare in sè.

“The white walker is coming” risponde Jon, rimarcando la fissa del nord per le cose che stanno per arrivare, neanche fosse la pubblicità del campari ( “non è forse l’attesa dell’inverno l’inverno stesso?”).

"qualcuno mi cercava?"
“qualcuno mi cercava?”

Un bambinesco battibecco a cui si alternano brevi squarci nelle storylines parallele; il ritorno di Bran a Grande Inverno (il cui nome resta ancora strano posto che, per quanto Grande, se ne mostra sempre e comunque solo l’entrata con i bambini grassi che giocano con gli archi), Samwell Tarly che trova un senso nella vita e, luce nell’ombra, un Tyrion Lannister che interpretando un ottimo se stesso giunge persino ad autocitarsi. Piccole perle lanciate in una grande perdita di tempo i cui frutti, per ora, si realizzano in uno straniante finale; l’assedio di Castelgranito.

Quest'uomo è sempre più bello.
Quest’uomo è sempre più bello.

No, non cè l’epico scontro tra il Bastardo Snow e Ramsay Bolton, cosa che nessuno ora si aspetterebbe, ma nemmeno un piccolo conflitto tra bande di quartiere. Niente di tutto questo. Solo e soltanto una semplice rivisitazione della narrazione di una battaglia nel Teatro greco. Cosa significa? Facile, niente viene mostrato, tutto viene raccontato fuori campo. Ancora una volta, la terza a contare le puntate della stagione, la chiacchierata vince sulla narrazione (intesa come alternanza di dialoghi e azioni) con uno schiacciante sbrodolio di Tyrion che, proprio come un messaggero nei teatri antichi, racconta in un paio di secondi, i pochi rimasti posto tutto lo sprecare avvenuto nei minuti precedenti, ciò che accade nella conquista di Castel Granito; tutto mentre una carrellata di scene dalla durata di un’alzata di sopracciglio di Varys mostrano quello che, ad un occhio anche solo minimamente attento, appare come il trailer di un teaser di un trailer di una vera battaglia.

Tutto questo per cosa? Il plot twist finale. “BOOM” urla lo sceneggiatore lanciando l’ultima pagina di copione sulla scrivania, “Era tutta una finta”.

Sceneggiatori di Boris alle prese con Game of Thrones
Sceneggiatori di Boris alle prese con Game of Thrones

Plot Twist, “Alla Game of thrones” diremo forse un giorno, peccato che, affinché qualcosa stupisca, dovrebbe, come minimo, interessare; come può interessare quest’improvviso “it’s a trap” moment se neanche c’è stato il momento di capirlo, vederlo, aspettarlo, quest’incredibile assedio?

8dfc45ebe3a41192f8722233ba07e63a

Capiamo così che Castelgranito era già stato abbandonato e tutte le sue truppe spostate verso Altogiardino, alla conquista dei Tyrell e dell’irremovibile Lady Olenna. Come il tutto si chiude negli ultimi commoventi secondi è quanto di più perfetto possa accadere, sia nel nobile comportamento di Ser Jaime, dalle sempre più dubbie azioni, che nella meraviglia d’incastri logici presenti nelle ultime parole di una potente Lady Olenna.

Perfetto, purtroppo. Perché se fossimo davvero sinceri, lo odieremmo questo senso di perfezione. Perché arriva tardi, perché dura un istante, perché imbroglia cercando di nascondere sotto la sabbia di un minuto buono i precedenti, scarsi, cinquantanove.

Può un finale salvare tutto? Decisamente no, eppure, nei meandri della narrazione televisiva, sta aleggiando un pericoloso pensiero secondo cui, dopo tutto, potrebbe anche andar bene.

Magari la battaglia verrà mostrata nella 7×04, magari questo era un tassello minuscolo di un grande ed entusiasmante mosaico in arrivo, certo, peccato che, andando avanti così, collezzioneremo tanti piccoli discreti pezzi di un qualcosa che, singolarmente, sminuisce l’intera opera stessa. La serialità è anche percorso, non solo meta.

Alla prossima, seguimi anche QUI

IlParolierematto

Appassionato di storie e parole. Amo il Cinema, da solo e in compagnia. Un paio d'anni fa ho plasmato un altro me, "Il Paroliere matto". Una realtà di Caos in cui mi tuffo ogni qual volta io voglia esprimere qualcosa, sempre con più domande che risposte. Uno pseudonimo divenuto anche canale YouTube.