PAROLA D’ORDINE: DELUSIONE
Il primo Watch Dogs rappresentò un’enorme e cocente delusione per, bene o male, l’intera community videoludica. Fu una delusione per chi si aspettava l’effettiva rivoluzione nel modo di intendere l’open world, auspicandosi finalmente l’immissione di meccaniche originali che solo la potenza di calcolo della Next Gen poteva offrire. Fu una delusione per i maniaci della grafica, i “poligono-dipendenti”, quelli che non vedevano l’ora di fondere le proprie schede video portandole al massimo sforzo nel tentativo di reggere gli shader dell’asfalto bagnato o il riflesso del fuoco sul cofano delle macchine. E fu una delusione anche per chi, magari un poco ingenuamente, vedeva in Watch Dogs un possibile punto d’incontro tra i media classici e i videogiochi, viste le tematiche trattate e l’attitudine quasi profetica che il titolo pubblicizzava, in un 2012 sempre più “always connected“.
Oltre ai preamboli narrativi, tutte le meccaniche principali del videogioco venivano mostrate nella stellare presentazione messa in piedi da Ubisoft nell’E3 2012, delineando precisamente che cosa fosse Watch Dogs e in che modo fosse esaltante. L’action tradizionale si mescolava perfettamente alle possibilità strategiche offerte dall’hacking: parkour, sparatorie, scazzottate e inseguimenti in macchina si susseguivano fluidamente alle violazioni del ctOS, il sistema operativo intelligente che regola l’intera città di WD, ponendo enfasi sulle modalità di azione che il giocatore era in grado di adottare in ogni situazione, manipolando completamente il mondo di gioco e ridefinendo il concetto di sandbox.
E ovviamente era anche uno spettacolo visivo: le ombre degli alberi proiettate sull’asfalto si muovevano insieme alle fronde scosse dal vento, le lattine ed altri rifiuti si rincorrevano sui marciapiedi, le vetrine dei negozi replicavano esattamente ciò che succedeva in strada, le moltissime luci erano dinamiche e parevano possedere dignità propria, il cappotto di Aiden (oltre ad essere splendidamente modellato) rifletteva addirittura il fuoco in uscita dalla canna della pistola durante lo sparo, la fisica e la gestione dei materiali estremamente realistiche, l’orrizzonte visivo era vastissimo, e potrei andare avanti per ore.
PROMESSE NON MANTENUTE
Questo era il 2012. Mentre nel 2014, dopo vari rinvii per “puliture tecniche”, con che cosa ci siamo ritrovati tra le mani?
Watch Dogs sancì l’inizio di quello che oggi conosciamo come il tanto diffuso processo di downgrade: molte promesse nella prima presentazione (che generalmente riguardano features di gioco o l’aspetto puramente grafico) non mantenute al momendo dell’uscita, per problemi di budget o di gestione delle risorse tecniche. Forse diede soltanto più consapevolezza riguardo questo fenomeno, non è ben chiaro. Sta di fatto che, nonostante un tale livello grafico come quello della demo 2012 non sarebbe replicabile nemmeno oggi sulle macchine più potenti, Watch Dogs deluse anche sul fronte narrativo e quello puramente videoludico, rivelandosi mediocre e soltanto discreto in alcuni punti.
Il protagonista si è dimostrato tristemente piatto e con del carisma solo simulato, mentre lo svolgimento dell’intreccio narrativo piuttosto banale e scontato. Allo stesso modo le meccaniche di gameplay sono state riproposte parzialmente o in misura molto ridotta, abbandonando totalmente la visione originaria dell’intera manipolazione del mondo di gioco in favore di un action game come se ne vedono tanti in giro, o addirittura peggio. Non che Watch Dogs non avesse vari punti validi a proprio carico, ma sono stati completamente oscurati dall’hype distrutto che questo gioco ha attirato a sè, relegando l’avventura di Aiden al ripostiglio e diffondendo lo scetticismo all’interno dell’intera userbase di Ubisoft per gli anni a seguire.
UBISOFT CI RIPROVA
Eppure, nonostante tutto questo, Ubisoft ci riprova. Per alcuni era scontato: l’IP di Watch Dogs sarà costata un patrimonio in investimenti, abbandonarla in tal modo sarebbe risultato stupido anche a fronte di un precedente fallimento commerciale, che comunque non è avvenuto. L’8 Giugno il secondo capitolo della saga si è mostrato in una premiere in diretta mondiale, dedicata allo svisceramento dei punti principali su cui questa volta la software house si è concentrata per trarre il meglio dalla produzione. E, vi dico la verità, pur con tutto il criticismo necessario al prendere con le pinze ciò che hanno creato, SE Ubisoft terrà sul serio fede alle ennesime promesse fatte, Watch Dogs 2 sarà in grado di riscattare l’eredità del precedente infame titolo.
Andiamo dunque ad analizzare, passo per passo, quello che il video seguente ha voluto mostrarci:
“ABBIAMO CAPITO DI AVER SBAGLIATO”
La premiere inizia con quella che sembra una velata dichiarazione di scuse da parte del team di Ubisoft. O perlomeno, non c’è nulla di veramente esplicito, ma visti i molti minuti dedicati a queste dichiarazioni, sembra che i developer vogliano dire al pubblico che hanno capito di aver sbagliato. Ci viene fatto sapere che il titolo è stato rivisto più volte dopo il termine dello sviluppo, che è stato messo in paragone con il primo capitolo, che hanno riflettuto su cosa è andato bene o cosa no, che è stata data grande attenzione al feedback degli utenti (purtroppo non citano i numerosi insulti arrivati da un po’ ovunque, ma sappiamo tutti che li hanno bene in mente), e che in generale l’obiettivo finale è il miglioramento assoluto. Potrebbero sembrare delle flatus vocis finchè non arrivano i fatti, eppure riconoscere i propri errori è sempre il primo passo nella redenzione.
Tua culpa, Ubisoft.
CITTA’ DIVERSA, ATMOSFERA DIVERSA
Watch Dogs 2 è ambientato in California, a San Francisco, patria della Silicon Valley e delle donne in bikini. Ma anche delle gang criminali e, soprattutto, della battaglia tra hacker. La città ci viene presentata in questo modo, ponendo grande enfasi sulle diverse estrazioni sociali, sulla variegata morfologia, e sulla grande quantità di cose da fare, come se si trattasse di un nuovo Grand Theft Auto. Le analogie in effetti non finiscono qui: è dai tempi di GTAIV che non vedevo una (apparentemente) simile attenzione dedicata ai dettagli che compongono il mondo di gioco. I comportamenti individuali dei passanti o degli animali, le loro relazioni interne, il modo in cui interagiscono indipendentemente dalle azioni del giocatore. Tutti questi elementi non erano presenti nel primo capitolo, ma sono fondamentali nella creazione di un’effettiva “simulazione” di un mondo open world, per trasmettere una sensazione di vitalità e dare perciò conseguentemente al player tantissimi modi con cui approcciarvi. Il soggetto principale di Watch Dogs è pur sempre la società, e come questa muta al contatto con la tecnologia è in base a chi ne possiede il controllo. Fattori molto determinanti inoltre nella creazione della giusta atmosfera, spesso sottovalutata nei videogiochi ma forse uno dei punti cardine di ogni opera.
UN PROTAGONISTA GGGIOVANE CHE SPAKKA (e anche lo stile artistico)
Marcus Holloway è il protagonista di WD2: giovane, scanzonato, estremamente agile, oltre che pieno di inventiva e un hacker brillante. Non il massimo dell’originalità, ma per fare commenti sulla sua profondità psicologica dovremo prima vedere come si comporterà all’interno della storia. Ciò che ci interessa di lui sono le sue abilità in quanto personaggio giocante, e come queste si rapportano al gameplay. Marcus possiede infatti le “solite” capacità da freerunner a cui Ubisoft ci ha abituato con la serie di AC, ma anche vari gagdet da utilizzare a seconda della situazione: droni traccianti radiocomandati, pistole o taser creati in casa, una singolare arma per il corpo a corpo, e soprattutto il suo smartphone con le sue skill da hacker.
La software house ci rassicura: “potrete hackerare qualsiasi cosa nel gioco“. Non era quello che ci era stato detto anche nel primo titolo? Questa volta in realtà le aspettative sono state ridimensionate, e forse finalmente troveranno una vera importanza come meccaniche, andando a donare profondità nell’intero sistema di gioco e variando notevolmente il gameplay, potendo anche puntare tutto sull’azione o sullo stealth oppure ancora solo sull’hacking. Perlomeno, queste sono le promesse, speriamo verranno mantenute.
Da come ci viene presentato, non è solo il protagonista a possedere originalità e carisma, ma anche l’intero gioco in sè. Viene data ancora più importanza alle personalità hacker, alla internet culture, ai memes e a tutte quelle altre cose che piacciono ai giovani di oggi. Yo, Ubisoft, abbiamo capito che volete creare un senso di meta-fiction, ma non bastava la pessima figura fatta durante l’E3 2015 con il cosplayer di Assassin’s Creed Unity?
Scherzi a parte, effettivamente il titolo possiede personalità e lo dimostra largamente, ma è dovuto in gran parte allo stile artistico adottato, pieno di rimandi al cyber design o vari elementi della nostra quotidianità, edulcorando il tutto con colori al neon accesi e una bella dose di pixel art ovunque. Un gran lavoro sotto questo fronte.
“SI’, MA LA GRAFICA?”
Dedichiamo anche un piccolo paragrafo nell’analizzare Watch Dogs 2 nella pura tecnica. Ancora una volta il gioco si presenta come visivamente stupendo; sia perchè come detto prima ha dalla propria un’ottima direzione artistica, e sia perchè effettivamente il software sembra di ottima fattura. Mi ha colpito subito la qualità dei modelli della città, la definizione delle textures, la mole di contenuti a schermo e la gestione dell’illuminazione, un po’ meno le animazioni, ma nulla di problematico. Dobbiamo aspettarci un downgrade? Contando l’andazzo recente, dico a prescindere di sì, ma in generale questa volta l’intero comparto tecnico sembra piuttosto gestibile sia da console che pc, similmente a quanto visto in GTAV, ammettendo ovviamente che non ci saranno problemi di ottimizzazione in cui spesso si incappa.
(ah già, c’è anche il multiplayer)
IN CONCLUSIONE
Ubisoft con il primo Watch Dogs ha combinato veramente uno schifo, e non ci saranno mai abbastanza parole per descrivere quanto di quel potenziale è andato sprecato in così poco tempo. Tuttavia questa presentazione mi ha colpito così tanto che se il titolo dovesse veramente corrispondere in tutto e per tutto a come è stato pubblicizzato, non ci penserei due volte a nominarlo gioco dell’anno.
Il problema però è proprio questo: ci si può fidare?
No, non si può e non bisogna farlo.
Il mio giudizio è però in questa sede basato esclusivamente su quello che ho visto fino ad ora, sulla presentazione in sè piuttosto che sul gioco, ed è per questo che è assolutamente positivo (lì dentro hanno dei geni del marketing e delle comunicazioni, ve lo dico io). La speranza è dunque che il rinnovato scetticismo del pubblico risvegli la coscienza di Ubisoft, che la spinga a far uscire non un capolavoro, ma un titolo quantomeno decente, e che sia riuscito a farla riflettere sui propri errori esattamente come va millantando.