Lost Horizon recensione: un cliché che funziona sempre

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Lost Horizon è un’ avventura punta e clicca del 2010 di Deep Silver, lo stesso studios che ha sviluppato il buon Secret Files. Ispirato al romanzo omonimo di James Hilton, riprende da vicino svariati cliché del cinema d’ azione e d’ avventura: Fenton Paddock, un eroe con un passato oscuro in cerca di redenzione, Kim, la bella spalla della quale finirà per innamorarsi (chissà, forse del protagonista), e i cattivisimi Nazi come sempre intenti a conquistare il mondo.

La storia scritta da Claudia Kern ci porta in un’affascinante giro del mondo alla ricerca di  un tal Richard, figlio del governatore di Hong Kong, sperdutosi durante una missione militare in Tibet. Il compito di ritrovarlo viene affidato al suo migliore amico Fenton Paddock, il quale dovrà fare i conti con qualcosa più grande di lui. Le ragioni personali della ricerca fanno presto largo alla necessità salvare il mondo dall’ enorme potere racchiuso nella mitica Terra di Shambala.

L’ ambientazione a tal proposito risulta approfondita e accattivante, anche se il soggetto non è certo originale: l’idea di nazisti intenti a controllare un enorme e antico potere che è stato capace di spazzare via arcaiche civiltà non è di certo originale. Nonostante tutto la trama di gioco riesce a funzionare anche grazie a un gameplay che non fa uso di enigmi troppo intricati facendo risultare Lost Horizon un titolo appassionante e immersivo, anche grazie a una grafica ben curata dai disegni stupefacenti mixata con elementi 3D dallo stile fumettoso.

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La storia è ambientata nel 1936, epoca che mescola gli albori delle rivoluzioni tecnologiche del ‘900 a un mondo che ancora nascondeva qualche  zona inesplorata che ancora attendeva di essere registrata sulle cartine geografiche. Fenton Paddock è invece un personaggio molto particolare: dopo essere stato congedato con disonore dall’ esercito, diventa un piccolo ed efficace contrabbandiere. I suoi traffici lo portano in conflitto con la Triade, che all’inizio del gioco cercherà di liberarsi di lui gettandolo in fondo ad una baia. Gli eventi si susseguono sino chè non inizia l’ avventura vera e propria che  porta il protagonista dal Tibet al Marocco passando anche per le Olimpiadi di Berlino con l’intento di sfidare i Nazisti e la società di “Tule”. La storia comprende colpi di scena e grossi tradimenti in pieno stile Deep Silver. I personaggi principali, tuttavia, non sono eccessivamente profondi e risultano un po’ stereotipati, a partire dall’ antagonista di Fenton, una gelida contessa tedesca accecata dal potere e dalla memoria del padre.

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L’ interfaccia è semplice e funzionale, totalmente gestibile col mouse. Gli enigmi piuttosto facili e spesso risolvibili semplicemente combinando gli oggetti l’ uno con l’ altro. I dialoghi offrono scelte limitate e non incidono sullo scorrere del gioco poiché hanno il mero compito di approfondire il contesto scenografico o di sbloccare nuove opzioni.

Nel Complesso Lost Horizon è una pregevole avventura grafica, che malgrado gli stereotipi e la trama un poco trita, riesce a coinvolgere per qualche ora di divertimento grazie alla facilità con cui si riesce ad immedesimarsi nel protagonista e alle stupende location. Inoltre il mistero che risiede nella “città segreta” non è privo di connotazioni filosofiche e religiose: un bene per il proprio intelletto. Per tutti questi elementi Lost Horizon a me è parso è un buon titolo, adatto a chi non cerca una sfida impossibile o personaggi sconvolgenti, ma  rilassarsi davanti allo schermo e godersi una storia che può scorrere tutta in un fiato.

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