Vi ricordate Burnout Revenge? Era fantastico! Riscopriamolo assieme

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Questo articolo è nato dopo che un gentile lettore di Projectnerd.it mi ha parlato del prossimo gioco di Three Fields Entertaiment: Danger Zone. Il gioco in questione, il secondo per lo studios britannico, non è altro che un “seguito spirituale” di Burnout. Non è un caso dato che Three Fields è stata fondata dai fondatori di Criterion, gli stessi che nel primo decennio degli anni 2000 ci fecero divertire da pazzi con la serie Burnout.

Il motivo che ha convinto Fiona Sperry e Alex Ward ad andarsene dall’ala protettita di EA Games, è stato probabilmente il fatto che il colosso canadese (in realtà ormai americano), sembra non essere più intenzionato a creare progetti di nicchia basati sulla distruzione illecita di oggetti. Per quanto possa sembrare strano, Burnout non è mai stata considerata una serie di successo per EA Games. Dopo il lancio dello stratosferico Burnout Paradise, da me considerato come il miglior gioco di guida della Settima Generazione, non abbiamo più assistito alla pubblicazione di nuovi Burnout (tranne un piccolo spinoff “arcade” chiamato Burnout Crash”).

Incalzato dai ricordi e dalla grande voglia di rimettere le mani sulla serie (magari con un nuovo capitolo ufficiale, magari non a nome di Need for Speed), non ho potuto far altro che immergermi nei ricordi andando a riscoprire uno dei capitoli più sottovalutati della serie: Burnout Revenge!

(utilizzerò i verbi al passato per aumentare il senso di nostalgia ihihih)

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Siete pronti per la vendetta?

Non conosco il motivo che sta alla base della sottovalutazione di Burnout Revenge. La mia riflessione è andata a ricadere sulla presenza sul mercato di Burnout 3, da me considerato come il miglior gioco di guida arcade di tutti i tempi, al tempo della  pubblicazione di Revenge. Effettivamente Burnout 3 è stato un filmine a ciel sereno: pubblicato nello stesso anno di Need for Speed: Underground 2, fece capire che in quel 2004 il Re dei giochi di corse non era nè il gioco hippopparo di Black Box Studios e nemmeno l’immensa simulazione di Polyphony sotto il nome di Gran Turismo 4.

Sta di fatto che Revenge uscì soltanto un anno dopo la pubblicazione del terzo e leggendario titolo il che insospettì moltissime persone. Voglio dire: all’epoca dei fatti gli sviluppatori erano abituati a sfornare giochi a volontà, ma il pubblico non riusciva a metabolizzare la presenza sul mercato di seguiti di grandi titoli pubblicati a una frequenza così alta. Forse fu proprio la tempistica di lancio a non permettere ai giocatori di capire che Burnout Revenge era alla pari, se non migliore di Takedown (ed è così per molti aspetti). E’ anche vero che EA Games decise di pubblicare assieme all’opera di Criterion un titolo corsistico che poi sarebbe passato alla storia: Need for Speed Most Wanted. E sappiamo tutti cosa i giocatori acquistarono in quel 2005.

Una cosa è però certa: chi sottovalutò Burnout Revenge fece un grande errore. In realtà come miglior gioco di guida di tutti i tempi dovrei mettere questo Revenge poiché, a conti fatti, è davvero il miglioramento netto di tutto quello che c’era di buono in “Takedown“. Tuttavia devo ammettere che sono legato in modo speciale al terzo capitolo, motivo per cui elevo quest’ultimo e non Revenge a videogioco di corse arcade di tutti i tempi. Ma andiamo un po’ nel dettaglio.

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Tutto questo era rielaborato da..una Playstation 2!

Parliamo dell’aspetto più riuscito del gioco: la grafica. Lo so quello che state pensando: “non ha significato parlare di grafica con un gioco dall’incredibile gameplay come Burnout Revenge“. E’ vero ed è proprio così. Ma c’è da considerare che è proprio il livello tecnico di Burnout Revenge a fare davvero la differenza. Perché diciamocela tutta: una Playstation 2 con un processore a 230Mhz circa, 32MB di Ram e una memoria di storage da 8MB, rielaborava in tempo reale (e quindi senza installazione), un videogioco che, tecnicamente parlando, risulta tutt’oggi attuale.

Non parlo di puro livello di dettaglio, per altro DAVVERO impressionante. Ma e soprattutto della quantità di oggetti a schermo. Prendiamo per esempio la modalità attacco al traffico, quella che imponeva al giocatore di colpire più automobili possibili in un circuito da “corsa” normale. Vi ricordate quante caspita di automobili erano presenti a schermo? Vi ricordate che ogni automobile del traffico si deformava in tempo reale in modi sempre diversi? Mi piace rimembrarlo: tutto questo girava su un hardware con un processore a 230Mhz, 32MB di ram e 8MB di storage.

Guardate il video qua sotto al minuto 3:30 per capire di cosa parlo:

 

In secondo luogo: gli incidenti. Quanto cavolo erano fatte bene le automobili in Burnout Revenge? No davvero: le automobili sono state modellate con una cura così maniacale che a tutt’oggi mi sembra impossibile che una Playstation 2 riusciva far girare uno splendore simile. E’ anche vero che la versione Xbox 360 (perché si: esiste una fantasmagorica versione Xbox 360), proponeva un livello tecnico da capogiro e che a tutt’oggi  non è invecchiato di un pixel. A tal proposito penso che Criterion abbia dapprima sviluppato la versione per la Seconda Console di Microsoft per poi adattare poligoni e modelli alla versione Ps2, fisiologicamente più povera di dettagli. Probabilmente, grazie a questo scaling, la versione Ps2 ne ha guadagnato in potenza grafica risultando, a tutti gli effetti, uno dei tre giochi graficamente più pregiati disponibili per il Monolite Nero (Burnout Revenge, Black e God of War 2 sono la triade dei tre best graphic games su ps2, secondo me).

Quello che impressionava era l’ovvio livello di dettaglio degli incidenti. Ok: sull’hardware di Sony le automobili si deformavano “soltanto” su dodici punti di modellazione diversi, ma caspita: il risultato era da capogiro. Detriti ovunque, automobili accartocciate e soprattutto impatti che sempre restituivano una impressione dannatamente realistica e di distruzione totale. Per non parlare del fatto che ognuna delle 77 automobili presenti nel gioco proponevano oggetti modellabili in tempo reale tutti diversificati. Insomma: ogni automobile non si distruggeva in egual modo rispetto a un’altra, ma ogni modello proponeva una “distruzione” coerente con la natura dell’auto. Impressionante.

Dall’impianto tecnico eccezionale ne derivava un gameplay rinnovato, sanificato, esaltante. In Revenge sono presenti tutte e quante le modalità che hanno appassionato centinaia di migliaia di giocatori con Burnout 3 Takedown. Tornano quindi le gare normali, gli attacchi al tempo, la furia stradale e così via. A tal proposito il gameplay varia con due piccoli dettagli che si dimostrano essere la vera sorpresa di Revenge. La prima è la fluidità di gioco, con un framerate sempre costante e una sensazione di velocità così forte da far fatica a capire cosa accade a schermo.

La seconda, la più importante, è la presenza del pulsante “Revenge“. In poche parole, se colpiti da un Takedown (quindi quando qualcuno ci sbatte fuori strada), si ha l’opportunità di esplodere generando Takedown Vendetta, utili a fermare gli avversari e soprattutto a generare nuovo turbo. Questa piccola invenzione può esser ritenuta come un inserto banale, ma si dimostrò essere così esaltante che per me, per esempio, risultava impossibile non urlare di vittoria ogni qual volta che riuscivo a vendicarmi istantaneamente di un Takedown subito grazie a una forte esplosione. Dannatamente divertente.

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Ad ogni Takedown vi era la possibilità di esplodere generando Takedown Vendetta

Ricapitolando: Burnout Revenge è un capolavoro. C’è altro da ricapitolare? Chi ha potuto gustarselo al suo tempo, quindi ben dodici anni fa, scoprì un videogioco incredibile, con un gameplay solidissimo a base di takedown e metal pesante, un impianto tecnico devastante e soprattutto tanto tanto divertimento. Sorprende che questo gioco sia uscito soltanto un anno dopo Burnout 3 Takedown, ma sorprende ancor di più che il titolo  sia tutt’oggi percepito con un piccolo velo di indifferenza, secondo me totalmente ingiustificato.

No ragazzi: Burnout Revenge è sicuramente  e oggettivamente il miglior capitolo della serie di Burnout. Pensare i momenti passati con l’opera di Criterion a distruggere avversari facendo Headbanger sulla colonna sonora da paura mi fa scendere una lacrimuccia sulla guancia.

Burnout Revenge è un gioco da riscoprire, da rigiocare e da giocare se al tempo non lo si ha almeno provato.

Magnifico.

 

Marco Masotina

Tosto come un Krogan, gli piace essere graffiante e provocante per scoprire cosa il lettore pensa dei suoi strani pensieri da filosofo videoludico. Adora i lupi, gli eventi atmosferici estremi, il romanticismo e Napoleone.