Quando si parla di film e opere provenienti dal territorio indiano è facile per noi associare direttamente questi prodotti al mercato dei cosiddetti “bollywood”. L’arrivo di Netflix e di tutte queste nuove piattaforme di streaming sta aiutando gli spettatori di tutto il mondo ad aprire i loro orizzonti e scoprire serie e film provenienti da molteplici parti del mondo.
In questo caso parliamo di Leila, una serie TV distopica proveniente dall’india e trasposizione dell’omonima opera letteraria di successo, frutto di una visione del futuro che per certi versi ricorda quella resa famosa dalla più celebre serie televisiva The Handmaid’s Tale.
La serie ci porta nel 2047, a 100 anni dall’indipendenza dell’india, nel pieno di una crisi idrica che sembrerebbe aver sconvolto il paese, trasformandolo in uno stato militarizzato chiamato Aryavarta, dove il sistema delle caste si è evoluto, segregando la popolazione in settori e in base alle religioni di appartenenza.
La protagonista Shalini è una Hindi benestante ed è sposata con Riz, mussulmano, con una figlia mezzosangue, Leila. Il loro idillio si interromperà quando un incursione militare le uccide il marito, rapisce sue figlia e la arruola per un campo della purezza, dove redimersi del suo matrimonio peccaminoso e diventare una figlia di Aryavarta.
Il regime totalitario al centro di Leila è un mondo dove le donne sono sottomesse, addirittura all’interno dei campi della purezza – nei primissimi episodi – assisteremo a delle pesanti umiliazioni, quasi a delle vere e proprie disumanizzazioni, in una serie di immagini decisamente forti che puntano a colpire lo spettatore cosi come la distruzione di uno dei simboli dello stato: il Taj Mahal
Da The Handmaid’s Tale purtroppo per lei questa serie non ha preso spunto per quanto riguarda lo sviluppo e gestione del ritmo, i giri bassi – a volte anche troppo -della serie con protagoniste le ancelle riescono a dare spazio allo spettatore per pensare, per smaltire le situazioni e per rendere più credibile l’insieme. In questo show invece verremo gettati nel tritacarne delle sceneggiature nate per il binge watching, dove gli avvenimenti avvengono in una sequenza rapida, fin troppo repentina e per seguirli viene messo da parte l’approfondimento del contesto sociale attorno al questo nuovo mondo.
La prima stagione si conclude con un taglio fin troppo netto, con una sensazione che molte cose potessero essere gestite in maniera più interessante.
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