Con tanto di presa di posizione decisa e senza cedere a compromessi, il regista Hirokazu Kore-eda ha cercato con vigore, per il suo Le Verità, uno schermo prestigioso per la prima mondiale. Rimbalzato da Thierry Frémaux e dal quel Festival di Cannes che lo ha incoronato grande cineasta proprio lo scorso anno con la Palma d’Oro al suo Un Affare di famiglia, Kore-eda ha così corteggiato Alberto Barbera (direttore della Mostra del Cinema di Venezia), che lo ha accontentato regalandogli l’apertura del Festival 2019. Le Verità è il primo film del cineasta nipponico girato fuori dalla madre patria. Il regista è sbarcato nell’altezzosa Parigi e ha voluto fortemente per il suo nuovo progetto una stella di tutto riguardo: la navigata e sempre carismatica Catherine Deneuve. La diva francese interpreta Fabienne, attrice gloriosa ormai verso il viale del tramonto, con un ego spropositato, che per tutta la sua vita ha considerato la famiglia un’ingombrante co-protagonista. La figlia Lumir è interpretata dall’intensa Juliette Binoche con al seguito il marito ex-alcolizzato Ethan Hawke. Prima di addentrarci nella disamina critica di questa commedia drammatica, è corretto dire fin da subito, che il lungometraggio in concorso è costellato da luci ed ombre. La cultura e il linguaggio filmico prettamente orientale di Kore-eda non gli hanno consentito di lavorare come avrebbe voluto a questo progetto: un ibrido arruffato, a tratti didascalico e un po’ ridondante. Stessa fu la sorte per il regista iraniano Asghar Farhadi (doppio premio Oscar) con il suo Tutti lo sanno (girato interamente in Spagna): film di apertura al Festival di Cannes 2018, che non lasciò nessuna traccia.

Parigi, giorni nostri. Lumir si appresta a tornare a casa dall’ingombrante madre Fabienne. Il viaggio New York-Parigi non è uno dei più facili da gestire per Lumir. Anche lei nel mondo del cinema in veste di sceneggiatrice e perennemente in competizione con la diva Fabienne. L’occasione della rimpatriata è dovuta all’uscita del libro autobiografico della madre. Lumir ha come supporto il marito e la giovanissima figlia Charlotte (Clémentine Grenier). Fin dal momento dei saluti di rito Fabienne fa sentire il suo potere sulla figlia, che si ribellerà una volta letta la biografia, dove molti dei fatti di famiglia non collimano con la realtà.
L’innocenza della nipote Charlotte può fungere da collante tra mamma e figlia, ma non basterà per non far montare la tensione e per portare a galla false verità. Nella vintage tenuta di famiglia anche i muri potrebbero facilmente parlare di bugie, di superbia, di perdute fiducie e di molte poche gratificazioni. In questo climax di tensione Fabienne deve prepararsi per il suo nuovo ruolo in una produzione di genere. Fantascienza non proprio cara all’attrice, che nel film interpreta proprio una madre.

Le Verità è un film fortemente voluto dal regista giapponese, del quale ha curato la scrittura e anche il montaggio. L’opera è stata scritta una quindicina di anni fa ed era stata pensata per essere rappresentata sul palco di un teatro. Qui le scene si svolgono perlopiù all’interno della villa di famiglia, originariamente pensate per essere sviscerate all’interno di un claustrofobico camerino.
Kore-eda parte con i più buoni propositi, mettendo sul piatto le sue carte migliori. La profonda riflessione sul senso di famiglia, che sia di sangue o meno (attrice amica di Fabienne morta in giovane età, aveva lei il ruolo di madre per Lumir). Giocando prevalentemente negli interni ci ricorda quanto è bravo a muoversi intimamente con la telecamera inseguendo le emozioni dei personaggi. Riesce come sempre a porre delle domande al pubblico: fa il terzo grado alle verità. Ma questa volta tutto il suo modus operandi non basta per compiere un lavoro completo a 360°. Forse per insicurezze legate alla lingua, e quindi torniamo al discorso in apertura di recensione, trova una sua zona confort in ruoli troppo stereotipati, che non rapiscono lo spettatore. Ne consegue una direzione artistica che rimane eccessivamente in superficie, mettendo in evidenza una minore precisione ed eleganza. E anche il ritmo risulta zoppicante. L’intento è riguardevole, ma la regia è disallineata perché la sua forma non riesce e far breccia in mondo che il cineasta nipponico non sente suo. Sorprende meno e giudica di più.

Le ottime interpretazioni delle due protagoniste: Deneuve e Binoche ravvivano la pellicola. La Bella di Giorno è perfettamente nella parte della grande attrice corteggiata da tutti, con una forza d’immagine come poche altre. La sua eterotopia convince: Fabienne pensa di vivere la vita vera nei suoi film, ma la realtà è diversa. Abbandona e sfrutta tutti quelli che gli stanno intorno nella vita reale. Juliette Binoche dona alla sua Lumir un’anima fragile, mettendo in forte risalto la sofferta mancanza di una figura materna. Madre che scorge solo tra le pieghe della recitazione di Fabienne, dove quest’ultima risulta più vera e genuina. Ethan Hawke, ahinoi, non pervenuto.
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Trama
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Regia
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Fotografia
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Recitazione
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Colonna sonora

