Cowboy Bebop: la recensione della serie live-action di Netflix

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Per i cultori del mondo anime, Cowboy Bebop è un vero e proprio prodotto cult, quella realizzata sul finire dei ’90 da Shinichiro Watanabe era una space opera dai temi maturi, che si muoveva a ritmo di musica jazz, differenziandosi non di poco anche nel panorama dell’animazione orientale e riuscendo con i suoi 26 episodi a entrare nei cuori dei fan.   Ecco perchè la decisione di Netflix di mettere in cantiere una versione Live Action di questa serie è stata accolta con qualche dubbio e non poche paure da parte dei fan, che dal 19 novembre 2021 hanno potuto vedere sulla piattaforma il risultato dell’adattamento.

Iniziamo subito a dirvi che nel confronto, il live-action ne esce sconfitto. Tuttavia meno malconcio di quanto molti si sarebbero aspettati nel momento dell’annuncio, l’adattamento con attori in carne e ossa ha infatti scelto una via estremamente impervia. Il risultato è una via di mezzo equilibrata tra una rivisitazione del cult e l’omaggio al materiale originale, un amore che è evidente all’interno della serie, ma che in certi punti ha forse portato a voler ricalcare alcuni passaggi in maniera evidente, evidenziando in realtà come i due prodotti siano nati con intenzioni e venature molto diverse.

Il  Cowboy Bebop targato Netflix pur partendo dallo stesso trio di anti-eroi composto da Spike, Jet e Faye Valentine decide di costruire una sceneggiatura che dia maggiore spazio a un altra coppia di personaggi, quella composta da Julia e Vicious, legati al passato di Spike. Modifiche sostanziali di trama e di toni – decisamente più pulp e pop quelli della serie live action – che si alternano costantemente alla scelta di mantenere passaggi e snodi dall’anime originale, rendendo il tutto una sorta di ibrido senza una propria anima definita e decisa. Il tutto a ritmo di una musica sempre spettacolare targata da Yoko Kanno, vera costante dell’intero universo di Cowboy Bebop

L’amore della produzione per il materiale animato originale potremmo dire che ha rappresentato un limite per l’intera realizzazione di questo progetto, che come detto all’inizio dell’articolo si è dimostrato più solido di quanto previsto e in grado forse anche di reggersi sulle proprie gambe, prendendo una strada ancora più distante da quella tracciata da Watanabe, lasciando l’omaggio velato sullo sfondo e puntando a coinvolgere un nuovo pubblico all’interno di questo mondo sicuramente molto interessante e ben realizzato.

Cowboy Bebop è riuscito comunque a intrattenerci e renderci felici a metà, rimane la speranza che in una ipotetica seconda stagione – il finale è aperto a nuove avventure – il nostro Space Cowboy possa trovare una finalmente una sua rotta.

 

 

Marcello Portolan

Uno strano mix genetico sperimentale allevato a fumetti & fantascienza classica, plasmato dal mondo dell'informatica e della tecnologia, ma con la passione per la scrittura. Un ghiottone che adora esplorare il mondo in cerca di Serie TV e pellicole da guardare noncurante dei pericoli del Trash e dello splatter. un vero e proprio globetrotter del mondo NERD